Pizzerie pugliesi nei paesi tra Covid e crisi da gestire – Parte IV

Realtà imprenditoriali di enorme successo in grandi città metropolitane si sono dovute piegare al volere e alla mentalità di città più piccole e talvolta piccoli centri in cui determinati servizi non sono ancora parte integrante dello stile di vita di chi ci abita. La conversione all’asporto e al delivery è stato per molti una soluzione naturale. Ma non è la panacea di tutti i mali. Per molti, infatti, il passaggio non è stato altrettanto immediato. La Puglia è piena di paesini in cui non si può salvare così la ristorazione. Non è per nulla facile mantenere alti gli standard qualitativi di una pizza consumata sul posto, ancora fumante, e quelli della stessa pizza consegnata in un cartone di carta e consumata a casa dopo parecchi minuti.

È il caso di Sforno, il capolavoro della pizza d’autore di Stefano Callegari che dopo Roma, la sua prima storica location, nel giro di un anno ha aperto in Puglia due sedi, a Noci (BA) e a Martina Franca (TA). Callegari ha stravolto il concept di pizza nel panorama della pizza in Italia. Un “pezzo grosso”, selezionato più volte in numerosissime guide sulle migliori pizzerie italiane. Le due location sono state scelte ad hoc. Nel centro storico. In zona pedonale. Due piccoli comuni dell’entroterra della Murgia. Comuni dove i big del delivery come Deliveroo, Glovo, Just Eat non sono attivi sul territorio. “L’asporto è quindi impossibile – fanno sapere dalla pizzeria – Nei nostri centri storici poco abitati o con una popolazione composta in prevalenza da persone anziane non funziona. Per chi viene da fuori del centro storico fra parcheggio e tempo di arrivo alla pizzeria e poi a casa, la pizza arriva gelata”. “Quindi, dopo un mese di conti in rosso ad ottobre” Callegari si è visto costretto a chiudere, per ora, Sforno in entrambe le sedi. Si sta concentrando sui lavori della nuova sede a Roma, dove il delivery e asporto funzionano in modo ottimale. “Riapriremo non appena la situazione tornerà alla normalità”.

Una pizzeria ormai punto di riferimento nel cuore della Valle d’Itria e che di strada ne ha fatta tanta è Doppio Zero, a Cisternino, nel Brindisino, al cui timone ci sono tre ragazzi giovanissimi: Piero Vareschi, Domenico “Mimmo” Mastromarini, il pizzaiolo, e Claudio Beato. Un punto di forza della pizzeria, come spiega Piero Vareschi (a destra nella foto): “Essendo tre soci, compreso il pizzaiolo, non abbiamo bisogno dell’aiuto dei nostri dipendenti, attualmente in cassa integrazione. Per il resto, lavoriamo come sempre, anche perché il delivery è un servizio che offrivamo già ai nostri clienti”.
Doppio Zero, in questo periodo, lavora quasi esclusivamente su prenotazione “per fare in modo che il cliente non aspetti e che ad orario stabilito possa trovare la pizza pronta, pagare e andarsene senza creare assembramenti”. “Gli orari di lavoro sono automaticamente cambiati – spiega Vareschi – Dopo le 21.30 è difficile ricevere richieste (tranne il sabato) perché stando in casa la gente preferisce mangiare prima del solito. Quindi apriamo poco prima del solito. ‘Purtroppo’ nel nostro paesello non c’è la concezione della pizza a pranzo. In tutta onestà si sta lavorando abbastanza bene, nulla a che vedere con i nostri standard, ma almeno da permetterci di andare avanti. A noi non resta che adeguarci ai vari decreti, altro non possiamo fare. Visto il periodo ne abbiamo approfittato per dare un aspetto nuovo alle sale. Non vediamo l’ora di riaprire i battenti, ci mancano molto i nostri clienti, sperando di poter ritornare nella completa normalità”.

Sempre nel Brindisino troviamo un altro nome tra i più importanti nel panorama delle pizzerie pugliesi. Anche Luppolo e Farina, a Latiano, si trova a fare i conti con incassi ridotti al minimo, parte del personale in cassa integrazione e investimenti per il rispetto delle norme anti-Covid. Nelle parole di uno dei due soci titolari si legge rabbia e preoccupazione. Ma mai rassegnazione. “Abbiamo deciso di rimanere aperti in primis perché non volevamo rischiare di buttare 20.000 euro di materie prime come nel primo lockdown – spiega Cristiano Taurisano – Poi sicuramente sia io che Davide (Barile, ndr) abbiamo la possibilità di stringere i denti qualche mese economicamente parlando ma alcuni dei nostri ragazzi con la sola cassa integrazione ultra-tassata non riescono a farcela, così abbiamo deciso di fare una turnazione e, camerieri a parte, facciamo alternare tutti durante i sette giorni della settimana integrando con quello che prendiamo. Apriamo alle 19 e chiudiamo alle 22. Ci siamo organizzati con il delivery ma considerando il fatto che la nostra pizza andrebbe mangiata bollente ci siamo limitati a farlo nel nostro paese. Latiano resta un centro abbastanza piccolo di 13-14000 abitanti per cui i numeri non sono assolutamente sufficienti al sostentamento e, nonostante gli ‘aiuti’ che arrivano, vediamo inesorabilmente il conto scendere e i debiti salire. Rispetto al normale siamo a circa un sesto dell’incasso o anche qualcosina in meno, con le spese che invece continuano a correre uscendo da poco dal grosso investimento per il nuovo locale. Ora – confessa Cristiano – comincio ad essere davvero incazzato perché abbiamo investito più di 3.000 euro a maggio per rispettare tutte le norme e anche oltre. Misuriamo la temperatura a tutti i clienti, chiediamo a tutti di igienizzare le mani all’ingresso oltre ad altre sei colonnine sparse nel locale. C’è sempre un addetto che regola i flussi all’ingresso, facciamo pagare al tavolo anche con il pos mobile. Abbiamo rivisto completamente la mise en place per avere tutto monouso e monoporzione. Addirittura ogni mezz’ora il bagno viene igienizzato con degli spray appositi ma ad oggi tutto mi sembra sia stato inutile”.
Cristiano però non si perde d’animo. È inarrestabile, come sempre. “So che ne usciremo e che la forbice si allargherà ancora di più – conclude – I clienti saranno anche più selettivi nelle uscite limitate dei prossimi mesi e chi ha sempre lavorato meglio ne trarrà vantaggio. Nonostante veda un po’ nero non ci fermiamo. Continuiamo nei vari reparti a fare sperimentazione e corsi. Anche con i ragazzi della sala ci teniamo in contatto video. Ne approfittiamo per spiegare bene non solo la provenienza degli ingredienti ma anche le ricette. Insomma dobbiamo pur fare qualcosa – ride – Penso che in molti non riapriranno, ma sarà chi aveva già un piede nella fossa o non avesse un’identità ben definita. Non riesco a immaginare il futuro sinceramente perché sono saltati tutti gli schemi. Ma continuiamo a crederci e lavoriamo anche su un nuovo progetto”.

Lascia un commento